Azioni ai dipendenti tassabili anche in fase di aumento del capitale sociale

Eizioni: Il Sole 24 Ore
Pubblicazione: Il quotidiano del Fisco del Sole 24 Ore del 09/10/2019

Le azioni assegnate da una società ai propri dipendenti a fronte di un aumento di capitale costituiscono compensi in natura e, pertanto, concorrono alla determinazione del reddito di lavoro dipendente.

L’agenzia delle Entrate, con la risposta aistanza di interpello 347/2019 , ha fornito alcuni importanti chiarimenti in tema di assegnazione di azioni a dipendenti in sede di capitalizzazione. In particolare, l’agenzia delle Entrate ha affermato che sia gli emolumenti in denaro, che quelli in natura, comprese le azioni, offerti dal datore di lavoro ai propri dipendenti, costituiscono redditi imponibili e, in quanto tali, concorrono alla determinazione del reddito di lavoro dipendente.

Tale principio si applica anche nell’ipotesi in cui la sottoscrizione del capitale di una società avvenga in sede di aumento successivo alla sua costituzione. L’agenzia delle Entrate ha, inoltre, aggiunto che nel caso in cui il valore normale delle azioni sottoscritte risulti maggiore del prezzo di sottoscrizione corrisposto ai dipendenti, la differenza costituisce reddito assimilato a quello di lavoro dipendente e, in quanto tale, deve essere assoggettato a ritenuta a titolo di acconto Irpef da parte della società.

Qualora, poi, il dipendente sia un soggetto fiscalmente non residente, il valore delle azioni deve essere tassato in capo alla persona ai sensi dell’articolo 23, secondo comma, lettera b, del Dpr 917/1986. Come noto, infatti, tale norma considera prodotti nel nostro Paese i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente se corrisposti da soggetti fiscalmente residenti nel territorio dello Stato.

L’operatività della citata normativa italiana, tuttavia, deve essere analizzata anche alla luce della normativa internazionale, ossia della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata dall’Italia con il Paese in cui è residente il dipendente. In particolare, nel caso di specie, è stata analizzata la convenzione Italia-Regno Unito che, ai sensi dell’articolo 16 della convenzione stessa, prevede la tassazione concorrente nei due Stati – quello di residenza della persona e quello di residenza della società – dei compensi e delle retribuzioni analoghe percepite in qualità di dipendente.

Sulla base di quanto sopra è stato, pertanto, affermato che, anche nel caso in cui il dipendente non sia fiscalmente residente in Italia, la società italiana è comunque tenuta a effettuare una ritenuta a titolo d’imposta, nel caso specifico del 30 per cento, prevista dall’articolo 24, comma 1-ter, del Dpr 600/1973.

È bene ricordare, con riferimento ai soggetti residenti, che da un punto di vista fiscale i piani di azionariato rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 51 del Dpr 917/1986 che disciplina, appunto, il regime impositivo dei redditi di lavoro dipendente. Tali strumenti vengono tassati alla data in cui le azioni vengono trasferite al dipendente in base al loro valore normale, ai sensi dell’articolo 9, quarto comma, del Dpr 917/1986.

Ai sensi, però, dell’articolo 51, secondo comma, lettera g, sempre del Dpr 917/1986, viene prevista l’esclusione dal reddito del valore delle azioni offerte alla generalità dei dipendenti per un importo non superiore complessivamente a euro 2.065,83, a condizione che le azioni siano essere offerte alla generalità dei dipendenti e che il dipendente non ceda le azioni per un periodo di tre anni dal momento dell’attribuzione oppure senza limiti di tempo se la cessione avviene nei confronti della società emittente o del datore di lavoro.