Fusione inversa, riportabili le perdite della società operativa

Eizioni: Il Sole 24 Ore
Pubblicazione: Il quotidiano del Fisco del Sole 24 Ore del 11/04/2019

Perdite riportabili in caso di fusione inversa, anche se l’incorporante non supera il test del patrimonio netto, in quanto non sussiste l’indebito utilizzo delle perdite stesse.

È questa, in estrema sintesi, la conclusione a cui arriva l’agenzia delle Entrate attraverso un interessante interpello di gennaio di quest’anno.

Si tratta della risposta all’istanza di interpello n. 3 del 10 gennaio 2019 , attraverso la quale l’Agenzia si è espressa in merito alla disapplicazione della disciplina antielusiva contenuta nell’articolo 172, settimo comma, del Dpr 917/1986, che limita il riporto delle perdite fiscali per la parte del loro ammontare che non eccede l’ammontare del rispettivo patrimonio netto quale risulta dall’ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale di cui all’articolo 2501 quater Codice civile, senza tenere conto dei conferimenti e versamenti fatti negli ultimi ventiquattro mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione stessa. Si tratta del divieto di commercio delle cosiddette «bare fiscali».

Più precisamente, il caso esaminato si riferisce a un’operazione di fusione inversa in cui la società incorporante/controllata non supera né il test del patrimonio netto, né il cosiddetto test di vitalità, quest’ultimo con riferimento al cosiddetto periodo interinale, ossia il periodo intercorrente tra l’inizio dell’esercizio e la data di efficacia della fusione.

L’agenzia delle Entrate, esaminata la situazione prospettata dall’interpellante, chiarisce, con riferimento, naturalmente, al solo caso di specie, che «non si riscontra la possibilità che l’operazione di fusione produca alcuna compensazione intersoggettiva delle perdite fiscali pregresse di una con i redditi dell’altra», tenuto in considerazione che l’incorporante non è in grado di superare il test del patrimonio netto a causa del fatto che la perdita maturata nell’esercizio precedente a quello in cui è avvenuta la fusione è dovuta «alla circostanza che i contratti … con i clienti finali nel mercato italiano non sono stati rinnovati in previsione della cessione del relativo ramo d’azienda», e non quindi a una mancanza di operatività.

La perdita, poi, è stata ripianata con l’utilizzo delle riserve disponibili e con la diminuzione del capitale sociale e il socio della stessa incorporante, ha provveduto a ricapitalizzare la società rinunciando a un credito, «in modo da consentire il prosieguo dell’attività di gestione».

Al riguardo, dunque, l’amministrazione finanziaria ha ritenuto che l’operazione di aggregazione aziendale non rappresenti l’epilogo di una manovra elusiva finalizzata all’indebito utilizzo di perdite fiscali da parte del soggetto risultante dall’operazione, tenuto conto che le perdite sono derivate, come detto, dalla circostanza che nel periodo precedente a quello in cui è stata posta in essere la fusione è stato ceduto un ramo d’azienda, e tenuto altresì conto che il soggetto incorporante non intende riportare le perdite del soggetto incorporato, in quanto ormai privo di operatività.