La definizione liti esclude gli atti di mera riscossione

Eizioni: Il Sole 24 Ore
Pubblicazione: Il quotidiano del Fisco del Sole 24 Ore del 20/04/2019

Per la definizione delle liti pendenti occorre porre attenzione alle controversie escluse dalla definizione stessa.

Come si evince dalla norma e come chiarito dalla circolare dell’agenzia delle Entrate n. 6/E del primo aprile scorso, non possono beneficiare della definizione delle liti fiscali pendenti le controversie nelle quali è parte solo l’Agente della riscossione nonché quelle che vertono su sanzioni amministrative non tributarie «anche qualora l’Agenzia delle entrate sia stata chiamata in giudizio, come, ad esempio, quelle instaurate avverso le sanzioni irrogate per l’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria o per l’irregolare conferimento di incarichi a dipendenti pubblici».

Sono anche escluse le controversie che riguardano dinieghi «espressi o taciti» di rimborso, che non riguardano «una pretesa dell’Agenzia delle entrate di tributi o di maggiori tributi o di sanzioni amministrative, ma a un’istanza di restituzione di somme ritenute dal contribuente indebitamente versate» e le controversie aventi a oggetto agevolazioni a meno che, come chiarito sempre dalla circolare 6/E/2019 , l’Ufficio non abbia «contestualmente accertato e richiesto anche il tributo o il maggior tributo dovuto».

Anche i rapporti tributari e le liti che hanno potuto usufruire di precedenti definizioni agevolate, non possono rientrare nella attuale norma sulla definizione delle liti pendenti.

Sono altresì esclusi dall’ambito di applicazione della norma in commento, i giudizi che riguardano atti «di mera riscossione», ricognitivi di quanto indicato dal contribuente o dal sostituto d’imposta nella dichiarazione, come i ruoli per imposte e ritenute non versate, le cartelle di pagamento e gli avvisi di liquidazione.

L’Agenzia delle entrate, attraverso il documento di prassi più volte citato, ha chiarito che, ai fini della definizione, rileva la natura sostanziale dell’atto impugnato, che prescinde dal “nomen iuris” utilizzato nella specie, richiamando quanto disposto dalla Corte di cassazione con riferimento all’avviso di liquidazione dell’imposta di registro. Tale atto, infatti, è teso a far valere «per la prima volta nei confronti del contribuente una pretesa fiscale maggiore di quella applicata al momento della richiesta di registrazione», come affermato dalla Cassazione con sentenza n. 20731 del 2010, e, quindi, l’avviso di liquidazione diviene un atto impositivo. Non è, dunque, definibile l’atto attraverso il quale l’Ufficio «si limiti a determinare l’entità del tributo dovuto, secondo i dati dichiarati dal contribuente stesso».

L’esclusione colpisce, inoltre, non solo i giudizi che riguardano unicamente le sanzioni per omesso o ritardato versamento, di cui all’articolo 13 del Dlgs 471/1997, ma anche le controversie che riguardano i contributi.

Il comma 5 dell’articolo 6 del Dl 119/2018 esclude dalla definizione anche le controversie che riguardano, in tutto o in parte, le risorse proprie iscritte nel bilancio generale dell’Unione europea come, per esempio, i dazi della tariffa doganale comune e i dazi doganali sui prodotti che rientrano nell’ambito di applicazione del trattato, ormai scaduto, che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, nonché l’Iva riscossa all’importazione e le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato.

Rimangono, invece, definibili le controversie in materia di imposta sul valore aggiunto, diversa da quella riscossa all’importazione.