Il mutuo consenso risolutivo è soggetto a imposta di registro proporzionale

Eizioni: Il Sole 24 Ore
Pubblicazione: Il quotidiano del Fisco del Sole 24 Ore del 06/12/2019

L’atto con il quale le parti contraenti convengono di risolvere un precedente contratto di compravendita immobiliare, tra esse stipulato, è soggetto a imposta di registro con l’aliquota propria dei trasferimenti immobiliari e non in misura fissa.

Tale chiarimento è stato recentemente fornito dall’agenzia delle Entrate con la risposta a istanza di interpello 439/2019 che torna, pertanto, sul tema della tassazione dell’istituto del cosiddetto «mutuo consenso risolutivo» o «mutuo dissenso», ribadendo i principi già affermati anche nella risposta 41 sempre del 2019.

In primo luogo, si ricorda che l’articolo 1372 del codice civile prevede che «il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge». Lo scioglimento del rapporto contrattuale per mutuo consenso rientra, dunque, nella più vasta categoria degli eventi risolutivi del contratto.

Tale istituto, infatti, è espressione dell’autonomia negoziale dei privati, i quali sono liberi di regolare gli effetti prodotti da un precedente negozio e, quindi, di sciogliere il vincolo contrattuale, indipendentemente da eventuali fatti o circostanze sopravvenute, impeditive o modificative dell’attuazione dell’originario regolamento degli interessi. Sotto il profilo civilistico, si segnala che la giurisprudenza non è unanime nell’interpretare la natura dell’istituto del mutuo consenso.

La giurisprudenza di legittimità prevalente, infatti, interpreta il mutuo consenso come un negozio risolutorio a mezzo del quale le parti pongono nel nulla, sia per il futuro che per il passato, l’originario atto o contratto – cosiddetta tesi del «contrarius consensus» (Cassazione sentenza n. 20445/2011 e n. 18844/2012), facendo venir meno l’originario atto di disposizione con effetto traslativo.

Altra parte della giurisprudenza di legittimità, minoritaria e meno recente, interpreta invece il mutuo consenso come un negozio che comporta la retrocessione della proprietà con efficacia ex nunc – cosiddetta tesi del «contronegozio» (Cassazione sentenza n. 7270/1997, n. 17503/2005 e n. 18859/2008).

Per quanto concerne la tassazione del mutuo consenso, l’agenzia delle Entrate, nell’interpello in esame richiama quanto previsto dall’articolo 28 del Dpr 131/1986. Tale norma, al primo comma, dispone che la risoluzione del contratto è soggetta al pagamento dell’imposta di registro fissa se dipende da una clausola o da una condizione risolutiva espressa contenuta nel contratto stesso o se stipulata mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata entro il secondo giorno non festivo successivo a quello in cui è stato concluso il contratto.

Nel caso in cui la risoluzione preveda un corrispettivo su tale importo si applica l’imposta proporzionale dello 0,50 per cento ove il pagamento sia contestuale all’evento risolutorio, ovvero del 3 per cento ove il pagamento del corrispettivo sia differito nel tempo.

Il successivo secondo comma del medesimo articolo 28 stabilisce che «in ogni altro caso l’imposta è dovuta per le prestazioni derivanti dalla risoluzione, considerando comunque, ai fini della determinazione dell’imposta proporzionale, l’eventuale corrispettivo della risoluzione come maggiorazione delle prestazioni stesse».

Sulla base delle citate norme, l’agenzia delle Entrate afferma che, nel caso in cui la risoluzione non sia prevista né da una clausola espressa contenuta nel contratto, né stipulata poco dopo il contratto medesimo, ma sia contemplata da un apposito e autonomo negozio successivo, non trova applicazione il comma 1 dell’articolo 28 del Dpr 131/1986, bensì il comma 2 che impone di tassare le prestazioni derivanti dalla risoluzione applicando l’imposta di registro in misura proporzionale e le imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa.