Truffe, l’Iva versata può essere recuperata entro due anni dalla sentenza

Eizioni: Il Sole 24 Ore
Pubblicazione: Il quotidiano del Fisco del Sole 24 Ore del 07/10/2019

Qualora spiri il termine per l’emissione della nota di accredito, individuato in quello prescritto per l’esercizio del diritto alla detrazione dell’imposta, il contribuente può chiedere la restituzione dell’Iva entro due anni dalla data del versamento ovvero, se successivo, da quella in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.

Con riferimento all’emissione delle note di accredito, l’agenzia delle Entrate è intervenuta con l’interpello 331 del 7 agosto 2019, fornendo importanti chiarimenti in merito alla rettifica di fatture emesse in un contesto di «truffa» perpetrata ai danni del fornitore.

Più precisamente, la fattispecie vede coinvolta un’azienda che nel corso degli anni 2014 e 2015 emetteva fatture per cessioni di beni a fronte di ordini che le pervenivano da parte del suo agente, e che non aveva modo, all’epoca, di ritenere non veritieri. In seguito a tali ordini e alla conseguente cessione dei beni, emetteva regolari fatture con addebito dell’imposta.

Poiché successivamente tali ordini si sono rivelati falsi a seguito di una sentenza divenuta definitiva, il contribuente chiede all’agenzia delle Entrate se è possibile l’emissione di note di accredito al fine di «stornare» l’imposta a suo tempo versata all’Erario, ma mai incassata, visto che la sentenza è intervenuta nel 2017.

L’agenzia delle Entrate, richiamando dapprima il comma 2 dell’articolo 26 del Dpr 633/1972, che annovera, tra le cause che possono giustificare l’emissione della nota di accredito nei termini collegati all’esercizio del diritto alla detrazione dell’imposta, «i vizi genetici del rapporto» come la nullità, l’annullabilità, la rescissione, il recesso, e simili, che, naturalmente, devono essere giudizialmente accertati, fa presente che quando «il passaggio dei beni avviene indipendentemente dalla volontà del cedente – del tutto assente (come nell’ipotesi di furto) ovvero artatamente manipolata (come nell’ipotesi di truffa) – mancano i presupposti per sottoporre la cessione all’Iva».

Qualora, quindi, si sia di fronte a ipotesi di furto o di truffa, è possibile l’emissione della nota di variazione in diminuzione solo qualora il contribuente, in primo luogo, al momento della fatturazione oggettivamente «non sapeva e non poteva ragionevolmente sapere» si trattasse di ipotesi «delittuose».

Viene richiamata, all’uopo, la sentenza della Corte di Giustizia europea del 2018, cause riunite C- 660/16 e C-661/16, che ha affermato, sempre in termini di recupero dell’imposta relativa a una fatturazione in acconto per una cessione di beni poi mai avvenuta, che l’emissione della nota di accredito «potrà tuttavia essere negato al suddetto acquirente qualora si accerti, alla luce di elementi oggettivi, che (…) egli sapeva o non poteva ragionevolmente ignorare che la realizzazione di tale cessione era incerta”.

Alla luce di ciò, qualora, come nel caso di specie, vi sia una sentenza irrevocabile che accerti la truffa, il cedente può emettere la nota di accredito nel rispetto dei termini stabiliti per l’esercizio al diritto alla detrazione, stabilito dall’articolo 19 del Dpr 633/1972, ossia, al più tardi, con la dichiarazione relativa all’anno in cui il diritto alla detrazione è sorto, considerate le condizioni esistenti al momento della nascita del diritto alla detrazione stesso.

Visto che tale termine, nel caso analizzato dall’agenzia delle Entrate, risulta spirato e non è possibile presentare una dichiarazione integrativa Iva a favore, al fine di poter recuperare l’imposta a suo tempo versata, il cedente può avvalersi dell’articolo 30 ter del Dpr 633/1972, presentando domanda di restituzione dell’imposta entro il termine di due anni «dalla data del versamento» dell’imposta stessa ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.